Le passioni ci
spaventano, è vero che ogni tanto ci troviamo a provarne di travolgenti,
amorose, sessuali, politiche, paurose etc., ma possiamo davvero chiamarle
passioni? In realtà sono spesso emozioni (rabbia, paura, disgusto, gioia etc.)
che durano poco, le vere passioni comportano riflessione, sono durature e
spesso provocano sofferenza e proprio per questo ci fanno paura, ci fanno
perdere il controllo e di conseguenza cerchiamo di spegnerle. Il problema è che
più che sparire finiscono per trasformarsi in ansia o depressione e più che
“passioni” finiscono per diventare veri e propri “patimenti” dell’anima.
Per capire come mai le
passioni stiano sempre più sparendo è necessario riflettere sul significato
della parola passione; dal latino “soffrire” “sopportare”, quindi passione vuol
dire provare una sofferenza ma anche sopportarla e quindi bisogna andare a
cercare il significato, tra gli altri, di sopportare; dal latino “supportare,
sostenere”, indica quindi uno sforzo per portare su di sè qualche cosa, in
questo caso potremmo pensare ad una emozione tanto forte e travolgente da fare
quasi male.
Fino a qui tutti bene,
tutti soffriamo e sosteniamo quindi non si potrebbe dire che le passioni siano
in estinzione, anzi tutt’altro. Però il termine “sopportare” ha anche un
ulteriore significato più specifico: “resistere” ed in questo caso invece si
può spiegare il titolo di questo articolo.
Se alla base della
passione c’è anche la resistenza il discorso potrebbe cambiare; le passioni
sono lì per insegnare qualcosa, per parlarci di noi, ma noi non vogliamo
ascoltarle proprio perchè portano con sè la sofferenza prolungata. Oggi però è
sempre più difficile trovare chi piuttosto che chiudere gli occhi di fronte
alle cose che non vanno decide di analizzarle e trovare una risposta.
Le emozioni travolgenti
esistono ancora, ma le passioni, che durano a lungo, no, non c’è voglia di
resistere, se una cosa non può essere ottenuta viene abbandonata per un’altra,
c’è sempre meno voglia di combattere ed impegnarsi per ciò che si desidera, e
il combattimento è “passione”.
Non è possibile
comprendere le passioni senza prendersi il giusto tempo per ascoltarle, ed il
problema è proprio il tempo, sempre più prezioso e sempre più centellinato.
Non è altrettanto possibile
comprendere una passione senza entrarci in relazione, ma come si può fare per
rapportarsi con essa? Solamente sperimentandola; ma allora come sperimentarla?
Vivendola nella vita reale.
Alla base di questo
meccanismo c’è quella che in psicologia dinamica viene chiamata proiezione,
l’attitudine prettamente umana a rispecchiarsi negli altri; Jung diceva che per
scoprire la propria Ombra personale (il lato nascosto ma anche sconosciuto di
sè) poteva essere un buon inizio osservare ciò che meno piace degli altri e
vedere se per caso quelle caratteristiche non albergassero anche in se stessi;
ovviamente questo può valere tanto per caratteristiche negative quanto positive
(anche se in via generale ciò che appartiene all’Ombra tende a fare paura).
Questo principio quindi parla della naturale tendenza dell’uomo a cercare di
conoscersi, e rivedersi negli altri è un modo come un altro per farlo, forse
anzi il modo migliore.
Riconoscere le proiezioni
comporta appunto tempo e sofferenza, comporta passione. La passione che ci lega
al partner, ai figli, la passione sessuale e travolgente, il senso di
appartenenza a qualche cosa, tutto avviene tramite questo meccanismo di base
che quindi è prima di tutto un mezzo di conoscenza a nostra disposizione.
Provare passioni significa
vivere nel mondo e rapportarsi ad esso, alle persone, agli eventi, significa
riuscire a condividerle prima ancora di riuscire a capirle, significa stare con
gli altri.
Il tempo diventa un
elemento fondamentale; le passioni nascono dalle emozioni e le emozioni sono
delle reazioni corporee che lasciano il tempo che trovano; per un momento
abbiamo una certa reazione emotiva che però, come tutto ciò che comporta una
scarica chimica fisiologica, tende ad esaurirsi per poi ripropoporsi quando ce
ne sono i motivi scatenanti; le emozioni per essere capite, si potrebbe dire
“patite”, hanno bisogno di tempo.
Per appassionarsi allora
bisogna vivere il mondo e le persone ma anche darsi il tempo di vivere le
emozioni che ciò che ci circonda provoca in noi, nel cuore e nello stomaco
prima ancora che nel cervello.
Solo dando spazio dentro
di sè a ciò che si prova è possibile trovare un senso ai sentimenti, e questa
attesa è l’attesa della passione, del sentimento travolgente.
Questo ascolto provoca
patimento al nostro Io, alla parte cosciente di noi che vorrebbe tenere sotto
controllo la situazione e spegnere le avvisaglie dell’incendio prima che possa
provocare degli sconvolgimenti nell’anima.
E qui sta il punto, pur
di non perdere il controllo vengono soffocate le passioni, basta pensare che
questo è il comportamento alla base dell’ansia, ossia il tentativo di prevenire
ciò che non ci aspettiamo, un tentativo che a volte raggiunge livelli
patologici che a loro volta provocano comunque sofferenza psichica.
Ma non è solo l’ansia il
nemico delle passioni, lo è anche la
depressione, lo stato di anestetizzazione
verso il mondo (anche verso quello interno) che impedisce le emozioni sul
nascere, le congela prima ancora che arrivino sulla soglia, per evitare il
riproporsi di un dolore.
Il tentativo, in sintesi,
è proprio quello di bloccare il tempo, perchè pensare che lo
sconosciutoche bussa alla porta
possa generare solo sconvolgimento negativo non è altro che chiusura in un
passato negativo che magari spaventa, è mancanza di apertura verso un presente
ed anche un futuro che invece potrebbero essere migliori.
Ma la paura di soffrire è
troppo forte, il tenere fermo il tempo dà maggiore sicurezza, la sicurezza che
ci viene da un mondo che anche se insoddisfacente è conosciuto, Fromm diceva,
non per niente, che la più grande paura dell’uomo è la libertà; e si potrebbe
aggiungere, le passioni liberatrici.
Ma allora come fare; il
bisogno di sicurezza non è così facilemte superabile, come non lo sono l’ansia
o la depressione.
Forse sarebbe necessario
considerare bisogno di sicurezza, ansia e depressione delle passioni; esse
infatti provocano comunque sofferenza consapevole, in particolare l’ansia, e
quindi è necessario dare loro libertà di cittadinanza nel regno delle passioni.
Allora, se anche loro
sono passioni, bisognerebbe lasciargli spazio; il dolore psichico migliora nel
momento in cui viene ascoltato, nel momento in cui gli viene riconosciuto un
senso ed uno spazio, è proprio questa per esempio la prima utilità di una cura psicologica, appunto basata
sull’ascolto.
Cercare di ascoltare i
sintomi piuttosto che cancellarli o negarli, tramite l’esclusivo uso di farmaci
per esempio, dà il via al loro riconoscimento e permette di trovargli un senso
ma, soprattutto, è anche un modo per entrare in contatto con se stessi; un
percorso di certo lungo e sofferto ma sicuramente ed autenticamente
liberatorio.
E non è neanche detto che
questo significa passare attraverso una lunga psicoterapia; quando il dolore
psichico è moderato può essere
sopportato e compreso nel suo significato con l’aiuto degli altri; Borgna in un
recente libro parla di “comunità di destini”, intendendo con ciò la possibilità
di condividere il disagio e la sofferenza; confrontarsi con altri che provano
lo stesso disagio permette di comprendere quale sia lo scopo ultimo del dolore
psichico, permettere l’incontro con l’altro, tanto l’altro fuori di noi (le
altre persone) quanto l’altro (il diverso da sè) che ospitiamo nella nostra
anima
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