Della nostra epoca si dice sia “l’epoca della maniacalità”, della fretta e dell’ansia; in effetti è vero che siamo sempre più “di fretta”, perfezionisti, preoccupati, accelerati….e di conseguenza anche un po’ più superficiali.

Ma quante volte il perfezionismo nasconde la paura dell’abbandono e del biasimo? Quanto spesso l’accelerazione e la fretta mascherano la paura del vuoto? Quanto la possibilità di avere molte più informazioni e competenze superficiali si trasforma in paura dell’approfondimento, in svogliatezza?

In psicologia si dice che l’ansia vada spesso “a braccetto” con la depressione, indicando con questo che spesso, molto spesso, la prima non è altro che la maschera della seconda.

Allora, forse, più che vivere in un’epoca maniacale viviamo “anche” nella sua controparte, un’epoca depressiva; qualcuno che non ricordo spiegava molto bene che in tempi come i nostri la depressione diventa una specie di “bene fondamentale”, perché va a soddisfare la naturale esigenza dell’uomo di approfondire sé stesso, le sue motivazioni e il senso della sua vita. Vivendo in continuo movimento e mutamento viene a mancare la possibilità di fermarsi, di sostare dentro se stessi e comprendersi un po’, fare il punto della propria situazione esistenziale. A questo punto il comparire di periodi di depressione (ovviamente non stiamo parlando della vera e propria depressione patologica descritta nei manuali diagnostici), diventa funzionale proprio a questi obiettivi. Spesso emerge la necessità di cambiare i propri valori di riferimento (oggi per esempio si sta passando da valori basati sull’individualismo ad altri basati sulla “comunione d’intenti”) e la depressione non diventa altro che la forma che viene presa dal dolore per il cambiamento profondo, il disorientamento che si crea nel momento in cui cambiano le proprie coordinate di riferimento nella vita.

Con questo non si vuole assolutamente minimizzare la portata “deflagrante” di un episodio depressivo, che provoca sempre una sofferenza acuta quanto “sorda” e di difficile risoluzione. Nel 1621 R. Burton già spiegava come la depressione fosse “l’inferno in terra” aggiungendo che di conseguenza se l’inferno esiste si cela proprio nel cuore dell’uomo.

In effetti i vissuti di un depresso ricordano da vicino, per alcuni aspetti, la condizione delle anime dell’inferno dantesco; solitarie e tenacemente attaccate ai propri errori ed alla propria sofferenza. La solitudine è forse una delle principali sofferenze di una persona depressa, quella straziante sensazione che non si possa fare affidamento su nessuno al di fuori di se stessi, quel circolo vizioso che continua a far sentire separati dal resto del mondo, una sofferenza che sembra nutrirsi e vivere di se stessa. Le persone che soffrono di più sono proprio quelle che non hanno la possibilità di dialogo, di confronto con gli altri; noi tutti infatti siamo prepotentemente sospinti a ricercare rapporti, perché è solo tramite questi che possiamo veicolare fuori di noi, e conoscere, le nostre emozioni; senza gli altri perdiamo la possibilità di riconoscerci, anche quella di poterci riconoscere diversi da quelli che pensiamo di essere. Inizia quindi un percorso involutivo da cui non si riesce ad uscire perché anche la possibilità di confronto con il mondo si congela e quindi anche la possibilità di cambiare ed uscire dalla sofferenza; anche perché quando le emozioni rimangono dentro troppo a lungo possono diventare distruttive e distruggere anche il proprio mondo interiore.

L’impressione è quella di una caduta senza ritorno; non c’è più nulla nel mondo esterno che possa aiutare, nessuno stimolo che solleciti l’interesse o che possa accendere un barlume di progettualità; e per quanti sforzi cerchiamo di fare per uscire da questo tunnel buio, per quanta volontà ci mettiamo o per quanto aiuto possiamo ricevere finiamo per trovarci in mano solo sabbia che scivola dalle dita senza poterla fermare; ogni solidità della vita finisce per sgretolarsi e sfuggire dal nostro controllo.

Ma allora come si fa per uscirne e, ancora, come si fa per convivere con questo stato dell’anima quando si presenta? L’unica soluzione pare essere quella di attribuire un senso agli eventi che provocano questo dolore. In questo caso è interessante quanto affermato da Carotenuto:

“ Le ferite dell’anima, però, possono trasformarsi in principi attivatori del nostro risveglio psicologico, capaci di innescare la nostra rinascita, il cambiamento a cui tutte le esperienze vissute ci hanno preparato. La particolarità della sofferenza, infatti, consiste nella possibilità che essa ci offre di trarre nutrimento dallo sviluppo della nostra vita interiore. Non dovremmo dunque arretrare impauriti quando ci troviamo al cospetto della sofferenza giacchè essa, al di là di quanto si potrebbe pensare, offre una serie di opportunità, di “vantaggi”. Il più importante di essi è dato dal fatto che la soffernza e la “prigionia” della nostra anima illuminano e rendono visibile il patrimonio più prezioso e nascosto delle nostre risorse psichiche. Quando si è prigionieri della depressione e nulla e nessuno sembrano poter accorrere in nostro aiuto dovremmo essere così coraggiosi da lasciarci precipitare nel baratro, da affrontare quella discesa verticale verso l’oscurità che tanto temiamo. Per quanto vertiginosa e devastante sarà la caduta, per quanto fitta sarà la nebbia da cui saremo avvolti, per quanto tetro apparirà il buio nel quale saremo immersi, dovremmo confidare nella luce, nella lieve ma persistente luce che, sempre, fa seguito all’oscurità.”

Questo significa che l’abbattimento e la frustrazione ci costringono a confrontarci con gli aspetti più oscuri, segreti ed imprevedibili della nostra personalità e che, una volta toccato il fondo, c’è una possibilità di rinascita. Uscire da una depressione significa portarsi dietro un pesante ma ricco fardello: tutte le esperienze psicologiche e tutte le riflessioni generate dalla depressione stessa. È per questo che in genere dopo un episodio depressivo se ne manifesta uno maniacale, di entusiasmo e di confusione, ricco di idee e spunti creativi che se si avrà costanza potranno essere messi a frutto. Non per niente molti artisti riferiscono di aver creato le loro opere migliori in una sorta di “incendio creativo” conseguente ad un periodo di depressione e profonda solitudine; ci immergiamo nel buio dell’inconscio, fino a che ci restiamo c’è sofferenza ed impotenza, ma quando ne veniamo fuori ci ritroviamo fra le mani, come un dono insperato, proprio le soluzioni che cercavamo, idee nuove e, spesso, un nuovo modo di vedere le cose, più denso di significato. La depressione infatti più di altre sofferenze psicologiche rappresenta una possibilità di metamorfosi e, spesso, fonte di arricchimento interiore.

Ovviamente questo non vuol dire che una depressione sia qualcosa di auspicabile; tutt’altro, dovremmo però essere capaci di entrare più spesso in contatto con le nostre profondità inconsce, trovare più spesso dei momenti per stare da soli con noi stessi; infatti la potenza della depressione è legata alla sua intensità totalizzante, è quando diventa un evento naturale ed inevitabile che ci imprigiona e cancella il resto del mondo, ma questo accade quando per troppo tempo abbiamo evitato di confrontarci con noi stessi. Nel momento in cui le occasioni di “introversione” trovano libera espressione nella vita quotidiana diminuisce il rischio di affrontare un vero e proprio episodio depressivo.

Avremmo così più momenti di consapevolezza e saremmo capaci di trovare soluzioni creative alle nostre difficoltà molto più spesso e senza dover necessariamente attendere di sprofondare nel buio.

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