Il bambino da 1 a 3 anni vive la fase della scoperta del mondo durante la quale sviluppa nuove capacità, tanto legate al cibo quanto al movimento ed inizia ad avere consapevolezza di sé e di essere un individuo separato dai genitori cosa che testimonia con il NO; il bambino inizia ad esplorare ed anche ad opporsi ai genitori.

 

IO, NO, TU

In questa età il bambino inizia a dire io, a riconoscere se stesso allo specchio ed a percepire di avere una unità corporea; insomma, inizia a sentirsi una persona che ha la propria volontà ed i propri desideri, può riconoscere il suo viso, il suo corpo e crescendo fisicamente aumenta anche la quantità di energie a disposizione. Ora inizia a muoversi autonomamente, prima gattonando poi sulle gambe ed inizia ad esplorare il mondo in maniera più autonoma ma anche per esplorare se stesso, i propri limiti, ciò che riesce a fare e ad ottenere e così facendo inizia ad entrare in aperto conflitto con i genitori. Questa è anche la fase del No; aumenta il suo desiderio di autonomia e deve confrontarsi con i limiti imposti dai genitori; tutto ciò entra anche in contrasto con il bisogno che ha di essi, il bisogno di continuare a sentirsi amato.

Scopre che il suo no ha potere di rottura, attraverso il no scopre che si può essere in opposizione, da una parte i suoi desideri e le sue curiosità, dall’altra i limiti imposti dai genitori.

 

La crisi dell’opposizione

La possibilità di opporsi alle regole dei genitori, in particolare della mamma, non deve essere visto dall’adulto come un rifiuto verso di lui da parte del bambino; dire no è un modo per mettere un limite e per affermare se stesso ora che inizia a percepirsi separato, serve per far capire agli adulti che lui c’è, si sente un soggetto diverso dai genitori e che può avere desideri e pensieri diversi dai loro; questo è il momento in cui si gettano le basi dell’autenticità. Ed è proprio alla mamma che viene indirizzata la maggior parte dei no, è infatti da lei che il bambino si sente più dipendente ed è da lei che rischia di non riuscire a distinguersi.

 

Fase anale

Fino ad ora la maggior parte dell’attenzione veniva rivolta al mangiare, all’introdurre il cibo dentro di sé, ora, complici le attenzioni (e le preoccupazioni ) dei genitori verso l’educazione all’uso del vasino, il fulcro si sposta verso l’espulsione, verso le feci, verso ciò che il bambino in qualche modo dà di sé al mondo, ora si rende conto che non prende soltanto ma dà qualcosa; e per lui è molto importante.

Le feci rappresentano quindi la prima produzione che riesce a creare da sé e sono una specie di dono da offrire ai genitori e la loro modalità di espulsione va a rappresentare la modalità di espressione di se stesso verso il mondo. Se il rapporto con chi si prende cura di lui non è positivo in quel momento il bambino ha difficoltà a relazionarsi e per esempio può esprimerlo con una stipsi ostinata; far uscire le feci è un po’ come far uscire le emozioni ed i bisogni più profondi, per questo è necessario affidarli a chi può accettarli e capirli. In seguito l’interesse si sposterà verso tutto ciò che può essere modellato; in questi anni infatti i principali interessi di gioco del bambino possono essere la sabbia, la plastilina, la terra e l’acqua, tutto ciò che può essere trasformato in modo creativo e dare forma ai desideri ed alle fantasie.

Considerando il disgusto che in generale le feci provocano nei genitori in questa fase dello sviluppo il bambino inizia a confrontarsi con ciò che è buono e ciò che è cattivo, inizia a distinguer il bello (pulito) dal brutto (sporco). Bisogna considerare che il bambino tende ad identificarsi con le feci, e quindi l’accettazione di queste sue “produzioni” diventa l’accettazione nei suoi stessi confronti. Il disgusto verso le feci diventa disgusto nei suoi confronti e ugualmente per l’accettazione; da questo punto in poi sono poste le basi per i meccanismi di proiezione del brutto, tanto quando viene visto negli altri, tanto in se stessi, da qui nascono le fobie per lo sporco (proiezione all’esterno) quanto le manie della pulizia del proprio corpo (interiorizzazione) in genere verso i 5 anni. Questo è anche il tempo in cui i bambini utilizzano il termine “cacca” in maniera massiccia , quasi ad esorcizzare l’idea del disgustoso.

Questa è in sintesi una fase della vita molto importante per il bambino durante la quale i genitori devono essere il più tolleranti ed indulgenti possibile, senza interferire troppo sulla fase del controllo sfinterico e senza viverlo con troppa ansia. L’Io del bambino è ancora in formazione e quindi estremamente fragile, si sforza di farsi forte e di affermasi, di valorizzarsi e qualsiasi ferita al suo narcisismo ed alla sua voglia di espressione può lasciare segni profondi. Molto spesso i disturbi ossessivi, i tic e le manie vengono imputati ad un blocco relativo a questa fase dello sviluppo.

A questa età infatti il bambino vive ancora pienamente nel pensiero egocentrico, tutto il mondo ruota intorno a lui, almeno fino ai 4/5anni, e non è ancora capace di mettersi nei panni degli altri e tener conto dei loro desideri o diritti, tutto è improntato al mettere alla prova la sua volontà tanto che non riesce a vedere quella altrui. Questa, oltre ad essere la fase del no è anche la fase del MIO; infatti qualunque cosa appartenente ad altri gli viene data egli la sente come sua e nel momento in cui il legittimo proprietario la riprende il bambino si difende pensando che si sta violando un suo legittimo diritto, che si sta cercando di prendergli una parte di sé.

 

L’oggetto transizionale

Per quanto riguarda gli oggetti ce n’è uno in particolare a cui il bambino si affezione e su cui riversa tutti i suoi sentimenti, l’oggetto preferito da cui non si stacca mai e porta sempre con sé, è  l’oggetto transizionale che per lui rappresenta il rapporto con la  mamma.

Inizialmente è presente l’illusione che la mamma sia un suo possesso, quasi una parte di sé, in seguito questa illusione è destinata a crollare in particolare perché il bambino si accorge che non sempre la mamma compare quando lui la vorrebbe; in questi casi, per non sentirsi solo il bambino la sostituisce con un oggetto, che gli appartiene e può sempre avere con sé.

Questo oggetto può diventare un parziale sostituto del rapporto con la madre quando lei non c’è; infatti è impregnato di odori (non va lavato) che sono quelli del bambino ma anche della mamma e stringere questo oggetto significa non avere più paura come se la mamma fosse lì; in genere questo tipo di oggetto compare proprio nel momento in cui il bambino impara a camminare da solo ed incomincia ad avventurarsi oltre i confini che fino a quel momento l’avevano protetto come l’abbraccio della madre o la propria stanza o il lettino e nei momenti di esplorazione deve sapere di avere sempre la possibilità di consolarsi abbracciando il pupazzo preferito.

Da un punto di vista evolutivo l’oggetto transizionale ha una importanza enorme; simbolicamente va a rappresentare uno spazio intermedio che si trova fra il bambino ed il mondo esterno, fra sé e la mamma, fra l’Io e il non Io che è lo spazio dell’immaginazione e della creatività. Ora il bambino ha iniziato a superare il pensiero concreto, legato alla presenza degli oggetti, e può immaginare, infatti, anche se la mamma non c’è è come se fosse lì, nella sua memoria, ed anche solo immaginarla tramite l’abbraccio ad un orsacchiotto tranquillizza.

Bibliografia

Vegetti Finzi, S., A piccoli passi, 1997, Oscar Mondadori,Milano

Vallorani, M.G., Fare i genitori, 2007, Armando, Roma


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