Si trovano ormai diverse pubblicazioni, tanto cartacee quanto virtuali, che parlano di quello che è il nostro rapporto con internet, il web, la rete, e molto si discute su quello che dovrebbe essere in via ideale; in sintesi si discute ormai, e giustamente, dell’etica su cui dovrebbe basarsi il rapporto uomo-web.

Oltre a questa faccia di internet però è possibile provare a vederne anche un’altra, un’ulteriore chiave di lettura di questo fenomeno mondiale; il web, oltre ad essere un mezzo nelle nostre mani è anche un fenomeno, nel vero senso etimologico del termine, dal greco phainomenon, ciò che accade, manifestazione, ciò che appare sotto i sensi.

Possiamo quindi intenderlo come manifestazione del mondo di oggi, al pari di altre manifestazioni, come quelle artistiche vuoi musicali, letterarie o figurative; insomma, un elemento che ci dice come è il mondo oggi è che può indicarci (anche se solo parzialmente) dove andrà.

Piuttosto che capire come usarlo al meglio si può cercare di comprendere quello che è in se stesso come fatto oggettivo e quali delle nostre abitudini sta modificando, al di là del bene e del male, e cosa può dirci del nostro rapporto con il mondo.

Innanzitutto il significato in italiano è “tela” e per derivazione “rete” e “ragnatela”, quindi rappresenta qualcosa che avvolge e che serve per catturare, per trattenere, vuoi le prede vuoi il calore corporeo nel caso di tessuto; il web in qualche modo ci circonda e manifesta caratteristiche di indipendenza rispetto agli individui che ne fanno uso. Non per niente sta catturando anche la nostra intelligenza, o almeno alcuni suoi aspetti, non si parla forse di intelligenza artificiale?

Ecco, una prima informazione è che stiamo delegando alcuni aspetti della nostra intelligenza alla tecnologia, nel nostro caso particolare ad internet.

Alcune capacità mnemoniche non vengono più stimolate a causa dell’enorme mole di informazioni incamerata nel web e rintracciabile con un semplicissimo “clic”, semplicemente queste capacità di memoria non ci servono più perché abbiamo ogni significato scritto nella rete. In questo modo perdono consistenza la memoria verbale e numerica e la memoria tattile.

Parlando dei numeri e delle parole si sta parlando di quella che è definita memoria semantica; questo tipo di memoria è quella che ci permette di ricordare il significato delle cose, per esempio di una parola o di un numero; diminuendo la sua attività finisce per venire a mancare il significato di un concetto o di una parola.

Per comprendere meglio bisogna pensare che oltre alla memoria semantica abbiamo anche quella episodica, legata al ricordo degli eventi, e queste due memorie, pur essendo distinte tanto nella funzione quanto nella localizzazione del cervello, collaborano insieme; per fare un esempio di un impoverimento di quella semantica potremmo dire che siamo capaci di ricordare quando ci siamo innamorati del nostro partner (memoria episodica) ma che però non sappiamo più cosa vuol dire innamoramento, non conosciamo più il significato della parola (memoria semantica).

Da qui a pensare che la comunicazione tra persone rischierà di diventare sempre più piatta e vuota di contenuti non ci vuole molto.

In questo senso il web rischia di portarci via il mondo reale, con le cose concrete che possono essere toccate, il rapporto con esse, il rapporto tra persone reali. Oggi noi entriamo in contatto con profili sui social network e neanche sappiamo se queste persone esistono davvero, se sono davvero così come si descrivono. Da questo punto di vista potrei creare tanti profili quante sono le mie personalità, ma nessuno, dall’altra parte dello schermo avrebbe la possibilità di sapere chi sono davvero. La possibilità di conoscere la realtà subisce una forte flessione in senso negativo, ma d'altronde questo neanche interessa più.

è come finire per perdere il piacere della realtà concreta, che si può toccare; non per niente un’altra cosa che si tende a delegare ad internet è la concretezza del rapporto umano, ormai ci si parla via web, si chatta, si stabiliscono relazioni virtuali….ma tramite il web non ci si può toccare. Andreoli fa notare anche come nel tempo il nostro cervello si modifica in base a come cambia l’esperienza e lo stile esistenziale, per esempio oggi l’area del cervello deputata alla percezione del dolore ha una soglia di percezione molto più bassa, significa che non siamo più capaci di tollerarne quanto ne avrebbero tollerato i nostri nonni o bisnonni, e questo perché il mondo nel frattempo è cambiato. Nello stesso modo nel tempo si atrofizzerà l’area legata al tatto, alla conoscenza “a pelle” delle cose.

Quindi, a fronte di un impoverimento della conoscenza concreta delle cose si avrà, in modo direttamente proporzionale, un impoverimento della conoscenza dei significati delle parole; questo vuol dire che non avremo più strumenti per confrontarci con gli altri se non in modo immediato e superficiale, rischieremo di perdere il linguaggio condiviso da tutti e sarà difficile trovarsi d’accordo sui significati.

A fronte di tutto ciò un rischio ulteriore è legato alla perdita della sequenzialità, ossia quella capacità della mente che produce modi di agire legati fra loro nel tempo, la base della capacità di progettare; ma l’impossibilità di progettare nasconde (o provoca) un indebolimento dell’Io, di quell’istanza psichica che rappresenta il centro organizzatore della vita cosciente; in questo modo si è in balia delle immagini e delle emozioni, si vive a sprazzi, si vive di momenti, si spezza il tempo lineare. Tutto ciò è caratteristico di quello che è chiamato pensiero magico, una forma di pensiero basata sul credere e sullo sperimentare gli eventi, senza riflessione razionale; in sé per sé non sarebbe un problema se non fosse che il pensiero magico rischia di diventare troppo preponderate creando uno squilibrio fra aspetti per così dire “sensoriali” immediati ed aspetti “razionali” progettati.

Il pensiero magico corrisponde al pensiero mitico, quello proprio, per intenderci, delle antiche civiltà, come quella egizia o quella greca e romana, un pensiero immerso nella profonda credenza religiosa, immerso nei miti, in cui il pensiero per immagini è preponderante rispetto a quello per concetti, un mondo in cui non era necessario conoscere le azioni da compiere per raggiungere un certo obiettivo perché era sufficiente ascoltare il racconto di un mito per sentire emergere dentro le competenze per raggiungerlo, in un modo quasi intuitivo in cui le immagini proposte da un mitologema permettevano di far emergere quelle dentro l’animo umano senza bisogno di progetti o sequenze; ma oggi forse siamo andati troppo avanti per tornare indietro così bruscamente verso una forma di pensiero che abbiamo allontanato (sbagliando) per troppo tempo.

Tutto questo ci porta ad osservare un altro aspetto del web, il fatto che è un creatore di immagini. Come detto sopra si impoveriscono la memoria semantica e quella tattile, e questo a fronte di un rinforzarsi di quella visiva ed uditiva. Non intendo solo le immagini vere e proprie, le foto per intenderci, ma anche i caratteri scritti, tutto sullo schermo ci appare come immagine, o perlomeno ne rappresenta l’aspetto preponderante.

E come un uomo primitivo era in balia delle proprie divinità, percepite come “immagini” potenti, l’uomo moderno sembra essere in balia delle immagini di internet.

Queste “immagini” dell’uomo primitivo però erano immagini che gli appartenevano, si cristallizzavano in una forma (di un Dio o di un Eroe) dopo aver affrontato un lungo percorso dal buio dell’anima dell’uomo alla luce del mondo concreto. Perché questo secondo Jung è il percorso dell’immagine; nasce da contenuti psichici profondi e non coscienti e piano piano prende forma nel momento in cui l’uomo che li porta dentro non si incontra con un oggetto del mondo concreto, naturale, che evoca questi contenuti, li tira fuori, e l’uomo li vede proiettati in una cosa reale. Per esempio mettiamo che l’inconscia e quasi genetica paura della natura e il fascino per la luce che probabilmente albergavano nel cuore dell’uomo primitivo non riuscissero ad essere comprese fino a che il suddetto uomo non si imbattè in un fulmine durante un temporale che incendiò un albero; qui vengono “evocate” da un avvenimento esterno le corrispondenti emozioni interne; immaginiamo che così sia nato il dio del fuoco. L’immagine di questo ipotetico Dio del fuoco non sarebbe altro che la proiezione di una immagine interna preesistente che non aveva ancora una forma precisa.

Nasceva così l’immagine mitica (nell’esempio l’immagine di una divinità), che era ponte tra il  mondo interno con le sue emozioni ed il mondo esterno con le sue realtà concrete; un’immagine che rimane interna ed incerta, come immaginare il personaggio di un romanzo che viene solo descritto con le parole ma non in foto, insomma, un’immagine poetica e irreale.

Per le immagini di internet la cosa appare diversa. Rispetto all’esempio precedente potrebbero essere come l’albero ed il fulmine, le immagini reali che creano quella poetica, ma non immagini “ponte”, immagini di una emozione o di un sentimento; le immagini di internet esistono a priori e restano nel web, sono concrete e nello stesso tempo immateriali, hanno una esistenza virtuale nel server. Non esiste quindi più distinzione fra immagine interna ed esterna, nel web  tutto è esteriorizzato ma nello stesso tempo non è concreto, non può essere toccato.

Questo vuol dire che il mondo non è più riflesso dentro di noi ma riflesso nel web, e tutto ciò provoca una sorta di svuotamento di senso nell’uomo; non per niente per qualcuno, dipendente da internet, il mondo esiste fino a che resta acceso il computer per poi sparire quando lo si spegne, lasciando un incontenibile senso di vuoto.

In altre parole il web rischia di portarci via la fantasia, la possibilità di immaginare, tutto è lì pronto per essere visto e catturato. Quello che però si può perdere è la capacità di riflettere sulle immagini e la possibilità di dotarle di senso; nulla può essere dotato di senso (inteso almeno come lo intende la cultura occidentale) se non attraversa una sequenza di riflessioni, è per questo che si perdono le immagini interne, inconsce, perché ci si entra in contatto ma poi ci si scollega senza aver provato a capire perché quell’immagine ci ha colpito così profondamente.

Internet ci ha tolto tanto le immagini reali esterne (ed il rapporto con esse) tanto le immagini interne, quelle della nostra fantasia. Anzi, per essere più precisi il web le sintetizza insieme, facendo tutto il lavoro per noi, non permettendoci una riflessione approfondita, non permettendoci di essere liberi artefici della nostra immaginazione; il problema più grosso è che proprio dall’immaginazione prendono il via le azioni concrete che compiamo durante la vita; se non riesco ad immaginare il rapporto con un’altra persona quel rapporto non riuscirò neanche a stabilirlo se non in ipotetici modi casuali.

Il mondo interno e quello esterno sono strettamente legati, il rapporto tra il dentro di me ed il fuori di me è ciò che crea le esperienze e la vita, è ciò che può farmi cambiare nel tempo.

Ma sul web il tempo non esiste, c’è solo un eterno presente, la progettualità si smorza, vengono a mancare l’approfondimento delle cose ed il coinvolgimento in esse. Tutto è immediato, tutto deve colpire, più un contenuto genera emozione meglio è; per questo sul web tutto è mistificato, tutto è “forte” (e non solo nel web) e di conseguenza nulla è “davvero” vero fino in fondo; è come giocare a nascondino.

Quindi internet genera emozioni, ha una funzione di stimolante, di impatto. Questo però significa che si perdono i sentimenti ed i legami sentimentali; l’emozione è la percezione di un cambiamento dentro di sé a seguito di uno stimolo, un’immagine, un incontro, è una risposta acuta a qualcosa che succede e dura fino a che è presente lo stimolo. Il sentimento è invece una modificazione interiore che dura a lungo come conseguenza di un legame con un’altra persona, allora si parla di amore, amicizia, solidarietà etc.; la sua principale caratteristica è di mantenere la presenza di una immagine emotiva interiore anche di fronte ad una assenza della persona concreta. In internet i legami non sono possibili oppure la loro durata è messa a dura prova davanti alla possibilità di eliminare un legame sentimentale con un semplice “clic”.

L’impossibilità di creare un rapporto nel tempo e di mantenerlo è causata dalla sintesi di immagine interiore ed esteriore realizzata dal web; il tempo non esiste ma quindi in internet non esiste neanche la possibilità di progettare insieme un rapporto e mantenerlo perché mancano il passato ed il futuro, anch’essi sintetizzati dal mondo virtuale.

 

Quindi è questo il mondo in cui viviamo, un mondo basato su immagini, dove quello che conta sono le emozioni forti, la capacità di colpire gli altri mostrando alcuni aspetti di noi a scapito di altri che non colpirebbero abbastanza, che non avrebbero impatto; tutto si decide in un attimo, senza possibilità di revoca, un po’ come il clic del web oppure tutto finisce in revoche continue senza decisioni stabili, un po’ come morire in un videogioco per poi rinascere alla prossima partita.

Forse la nostra cultura occidentale sta perdendo la capacità di rischiare ma nel contempo anche quella di creare cose nuove, perché la creazione nasce da un’attimo di intuizione improvvisa poi realizzata con l’impegno e la costanza, qualità che oggi sembrano essere sempre più latitanti.

Fortunatamente resta comunque il concetto che il web, o più in generale il mondo digitale, sono dei mezzi a nostra disposizione e quindi grandi potenzialità se utilizzate con una testa che pensa in modo non unilaterale, capace cioè di perdersi nella rete per catturare idee da trasformare in qualcosa di originale e profondamente sentito.

In ogni caso una domanda sorge spontanea; siamo noi a catturare idee nella rete del web o è piuttosto il web a catturare noi?


Andreoli, V., Vivere solo qui ed ora nello spazio di un bit, in "Corriere della Sera", 11-01-2011

Andreoli, V., La perdita dei sensi nella digital generation, in "Corriere della Sera", 24-11-2010

Giegerich, W., Il World Wide Web dal punto di vista della logica dell'anima, in "Babele News" n°28, 2004


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